Archeologia

La più antica testimonianza della presenza dell’uomo, nel territorio, risale al periodo eneolitico (ovvero al 3000 a.C.). Si tratta di un piccolo frammento di vaso in argilla, ritrovato sulle colline di Pellaro. Ad Occhio di Pellaro è venuta alla luce una necropoli, tra le più antiche del territorio reggino, di epoca arcaica (VIII – VII sec a.C.). Tra le sepolture desta particolare interesse una tomba scavata nel terreno, all’altezza del collo dello scheletro è stato rinvenuto uno scarabeo in avorio. L’oggetto è di piccole dimensioni (cm 1.6), sulla base porta un’iscrizione in geroglifico (VII – VI sec. a.C.). Un’altra tomba ritrovata nello stesso sito, era costituita da una sepoltura posta dentro un’anfora <em>punica</em> (VII - VI sec. a.C.). La più antica tra le sepolture è quella in un anfora di tipo <em>corinzio</em>,<em></em>ritrovata coricata su un fianco e chiusa da una pietra piatta, (VIII sec. a.C.), essa aveva come corredo una piccola pisside <em>protocorinzia.</em> I reperti archeologici trovati ad Occhio, provengono da varie zone che si affacciano sul bacino del mare Mediterraneo, come lo scarabeo egizio, l’anfora punica (Tunisia) e l’anfora corinzia (Grecia), e fanno pensare che in quel periodo la nostra zona sia stata un luogo fiorente in cui si effettuavano scambi commerciali con altri popoli. In questa epoca il commercio avveniva per mare, quindi la presenza di questi oggetti fa supporre che nelle vicinanze ci fosse un porto o un approdo. Quasi a conferma della presenza nel nostro territorio di un approdo, è la scoperta del “marmo dei Dendrofori”, trovato intorno alla fine del XIX secolo sul lungomare di Pellaro. Si tratta di una lastra di marmo, dedicata dal collegio dei Dendrofori (antichi carpentieri navali e di macchine da guerra), a delle matrone reggine, che ne avevano finanziato la loro l’attività. Il documento porta la data del 9 aprile del 79 d.C.. Sempre nel sito archeologico di Occhio, al di sopra della necropoli arcaica, sono stati trovati i resti di una fornace di tipo circolare di epoca ellenistica (IV – III secolo a.C.), inglobata in una struttura formata da due ambienti, delimitati da muri a secco, costruiti con grossi massi di origine fluviale. I materiali rinvenuti nelle fondazioni, tra cui balsamari<em>, </em>frammenti di vasi e coppe a vernice nera, sono datati intorno al III – II sec. a.C.. Della stessa epoca sono due tombe, del tipo a camera, trovate una accanto all'altra. Oltre a resti di ossa umane, nelle tombe vi era anche un corredo formato da: un bicchiere, un piatto, una piccola brocca e una moneta di bronzo della città di Reggio, frammenti di un'anfora, di una coppetta colorata con vernice nera e di una brocca. Vicino alle tombe sono stati ritrovati una laminetta d'oro, parte di una catenella di bronzo e una moneta. Una delle tombe presentava una particolarità, alcuni embrici di copertura risultavano spezzati e lo spazio lasciato dalla parte mancante era stato ricoperto da un embrice di dimensioni minori rispetto agli altri. Questa tegola, oggi conosciuta come “tegola di Pellaro”, porta incisa un iscrizione greco-latina, in cui si legge il nome della persona sepolta “Klemes“, uno schiavo, del suo padrone “Alphios Primion” e di colui che incise la tegola “Antos”, vasaio reggino, seguono una serie di ingiurie in tono scherzoso da parte degli artigiani che lavoravano con il defunto. Nel corso degli scavi sono stati trovati frammenti di oggetti in ceramica più recenti, databili al III – IV sec. d.C., insieme alle strutture e agli altri reperti, testimoniano che il sito è stato utilizzato dall’uomo per più di mille anni. Un altro importante rinvenimento a Pellaro, si trova vicino la foce del torrente Fiumarella. Si tratta di un impianto artigianale composto da una fornace per la cottura di oggetti in terracotta e da impianti per le varie fasi della lavorazione dell’argilla. L’importanza di questo ritrovamento consiste nell’avere individuato la zona di fabbricazione di un’anfora molto diffusa nel IV – V sec. d.C.. La posizione dell'impianto di Pellaro, in antico vicino alla costa, fu sicuramente scelta in quanto il luogo offriva tutto il necessario ad attività artigianali di questo tipo. Le anfore fabbricate in questa fornace appartengono ad un tipo chiamato "Keay LII", ora conosciuta anche come "Anfora di Pellaro. Con tutta probabilità il prodotto commercializzato in questi contenitori doveva essere il vino, per cui la Calabria tardo-antica era ben conosciuta per il fatto che lo esportava in Italia settentrionale, sulle coste della Francia, nell'Oriente Egeo e sulle coste atlantiche della penisola Iberica. Ad un’epoca più antica appartengono alcune tombe alla cappuccina, ritrovate al margine dell’impianto artigianale, che risalgono al III sec a.C.. Esse fanno parte di una necropoli, come è stato accertato da sondaggi effettuati sull’area del sito. Di un periodo più recente, siamo in epoca bizantina, sono due sepolture a cassa venute alla luce nella zona di Bocale, costruite con muretti di mattoni e coperte da tegole piatte, un pavimento in cocciopesto e una cisterna per la raccolta del mosto dopo la pigiatura.  Da questo sito proviene una piccola <em>lekytos </em>(vasetto a forma di anfora) su cui e disegnato Dioniso (dio del vino), di epoca arcaica. All’anno 1067, risale il documento più antico da noi conosciuto, in cui viene menzionato il nome Pellaro. E’ in questo secolo che le nostre sponde sono testimoni della migrazione di un gran numero di monaci di rito greco, costretti a fuggire dalla Sicilia, a causa delle persecuzioni da parte dei musulmani che avevano occupato l’isola. Si deve a loro la fondazione del monastero di <em>San Filippo d’Argirò</em> , del quale si ha notizia della sua esistenza dal XIII secolo, dai documenti delle visite pastorali e da quelli per il pagamento delle tasse ecclesiastiche. Oggi sul luogo dove sorgeva il monastero, vi sono alcuni ruderi di una chiesa, costruita probabilmente nel XVII secolo. Sono questi gli anni che vedono il nostro territorio testimone delle incursioni e delle razzie da parte dei pirati turchi, favoriti dal facile approdo offerto dalla Fossa di S. Giovanni (tra le foci dei torrenti S. Giovanni e Macellari). A causa delle continue incursioni, il litorale iniziò a spopolarsi e gli abitanti furono costretti a rifugiarsi sulle colline. A porre fine alle incursioni da parte dei turchi, furono le spedizioni organizzate dai popoli europei di religione cristiana, culminate nella famosa battaglia Lepanto (7 ottobre 1571). Ancora una volta le nostre sponde furono testimoni di un importante evento storico, la sosta della flotta cristiana che si recava a fare guerra a quella turca nelle acque di Lepanto. L’episodio è narrato in una cronaca dell’epoca, la quale dice che la flotta, partita da Messina il 16 settembre 1571, si fermò nella fossa S. Giovanni e che l’insenatura, che va da Punta Pellaro a San Gregorio, bastava appena a contenere tutte le navi. La flotta si era fermata per dare la possibilità ai velieri di prendere un margine di vantaggio, per non restare indietro rispetto alle navi a remi. I cittadini di Reggio accorsero a salutare e ad omaggiare l’armata cristiana. <span style="color: #000000;">Il grande sisma e l’ondata di maremoto del 28 dicembre 1908 distrussero quasi completamente il paese sommergendolo in gran parte, cancellando così anche le testimonianze più antiche della sua esistenza.

Architettura

Si tratta di una zona collinare che degrada dolcemente verso il mare, formando una baia naturale. La "punta" e la "conca" con lo sfondo dell'Etna, rappresentano il principale elemento caratterizzante della zona di Pellaro. Le abitazioni si sviluppano lungo la cosiddetta "Via Nazionale", strada che partendo dal confine dell'Aeroporto in località San Gregorio si snoda lungo la costa, seguendo la ferrovia fino al confine meridionale del Comune, e confluisce nella SS 106. Nel nucleo centrale di Pellaro è possibile riscontrare un  "modus aedificandi" a scacchiera: le due vie principali e parallele, cioè Via Nazionale e Via Longitudinale, sono segmentate da strade minori ortogonali alle principali e parallele fra loro.

Punta Pellaro

Seppur attualmente sfigurata da un imponente abuso edilizio, era e rimane un ambiente di valore paesaggistico ed ambientale molto importante. Fino ai primi anni '70, poteva contare molti stagni dove gli uccelli migratori si fermavano per la riproduzione, e una ricca vegetazione pioniera, come ad esempio i gigli di mare, adesso scomparsi. Negli ultimi decenni questa zona è meta di sportivi che praticano Windsurf e Kite surf, poiché la conformazione e la posizione geografica creano venti favorevoli a questi sport. Nella seconda metà di agosto 2007 è successo un fatto di grande importanza. Sulla spiaggia di Punta Pellaro ha nidificato la tartaruga Caretta Caretta. Intervenuti gli esperti del CTS Ambiente hanno monitorato la zona controllando che le piccole tartarughe arrivassero in mare. Probabilmente il tratto di costa in futuro potrebbe venire dichiarato zona protetta, come già accade in altre zone del Mediterraneo.

Il Vino

Il suo nome deriva dalla zona di origine, per l’appunto, Pellaro. È uno del più rinomati vini rossi della viticoltura calabrese. Viene prodotto su colline a terrazzo, dal terreno sabbioso e asciutto, soleggiate e ad una altitudine di circa 100 metri sopra il livello del mare. Si vendemmia verso metà settembre.

Storia

La zona di Pellaro, sita sul litorale ionico e abitata fin dai tempi della Magna Grecia, rientrava nell'ambito della sfera politica di Reggio. Reggio, conquistata da Roma nel 272 a.C.. era considerata dai romani città confederata e in tale qualità doveva fornire a Roma un determinato numero di navi da guerra. Risulta che le montagne attorno a Pellaro erano ricoperte di boschi e sulle colline sorgevano bellissimi giardini, dove veniva coltivata la vite che dava buon vino; sulla costa e precisamente nell'insenatura di Occhio, si sviluppava un porto, importante per i traffici con l'oriente. Le invasioni barbariche prima, le scorrerie dei Saraceni dopo, costrinsero gli abitanti della costa a rifugiarsi all'interno e soprattutto a Motta S. Giovanni, che diventò così un centro importante. Il nome di Pellaro appare per la prima volta in un documento del 1067. Intorno allo stesso anno si può datare la costruzione del convento di S. Filippo dei Iiriti, a tre chilometri dalla costa, in zona panoramica a destra della vallata della Fiumarella. Di esso restano pochi ruderi, mentre la chiesa, che ne perpetuava il nome, è di costruzione recente. Fino al 1600 circa, Pellaro era scarsamente popolata; viene ricordata soprattutto per la sua rada dove approdavano tante volte i mussulmani con l’ intenzione di impadronirsi di Reggio, posta a sei miglia di distanza. Merita particolare menzione un avvenimento ricordato nelle cronache del tempo: nel 1571, la flotta cristiana, che si era radunata nel porto di Messina, partendo per incontrare la flotta mussulmana (lo scontro avvenne presso Lepanto il 7 ottobre 1571) si fermò nella rada di Pellaro, conosciuta col nome "Fossa di S. Giovanni", e fu accolta con grande festa dalla popolazione, che offrì ai crociati pollami, giovenchi, montoni, vini, frutti, agrumi e rinfreschi. Si ha notizia pure dell'esistenza di una torre di avvistamento i cui ruderi si trovano ancora nel retroterra di Bocale Secondo. Tra la fine del 1500 e gli inizi del 1600 vi furono diverse incursioni saracene guidate dal rinnegato messinese Simon Cicala. Cessate le scorrerie dei Saraceni, dopo la morte dei Cicala, numerose persone si postarono dall'interno verso la costa formando dei villaggi.

Nel 1743 scoppia una terribile peste che causò 65 vittime tra Pellaro e Cartisciano, esse sono seppellite nella zona di S. Giovanni B.  Seguì nel 1783 un terremoto che provoco’ nuovi morti e innumerevoli danni. La vita riprese e alla fine del 1700 si contavano a Pellaro circa 1080 abitanti mentre a Motta S.G. ce n’ erano 1140 e a Lazzaro 340. Segno questo dell'importanza crescente che acquistava l'insediamento sulla costa. Molto probabilmente esisteva pure un lago a poca distanza dall'abitato di Pellaro. Il fabbisogno crescente di terra a disposizione per la semina, portò gli abitanti a compiere tagli e incendi dei boschi e a nulla valsero i continui decreti dei governanti per reprimere queste azioni dannose. Scavi praticati nella marina di Occhio portarono alla luce antiche costruzioni e un'iscrizione accennante all'esistenza di un arsenale marittimo, il che indusse l'archeologo Moscato a sospettare che Pellaro sia il porto Bolaro, situato prima a Bagnara, e che il nome stesso di Pellaro sia una modificazione di Bolaro.Nel 1811 Pellaro viene annoverata come frazione di Motta S.G. Nel 1866 entrò in funzione il primo tronco della linea ferroviaria ionica tra Reggio e Lazzaro. Nel 1880 una rovinosa inondazione devastò le vie di comunicazione e rivestì di fango i campi per 25 chilometri tra Pellaro e Villa. Nel 1834 dopo una prosperosa crescita economica e demografica, grazie anche al sorgere di nuovi villaggi come Lazzaro e San Gregorio, venne dichiarata Comune. Il terremoto-maremoto del 1908 distrusse quasi completamente il paese e fece più di un migliaio di vittime tra Pellaro e Lazzaro. In epoca fascista, precisamente nel 1928, l'ammiraglio Zerbi che progettava la "Grande Reggio" incluse Pellaro come sua frazione. Oggi Pellaro e’ una ridente frazione di Reggio Calabria dove si pratica sport, cultura, pesca, agricoltura, commercio, e si produce un ottimo vino denominato (Pellaro IGT) che viene prodotto sfruttando le zone dei vigneti utilizzate sin dai primi coloni greci.

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